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Occhi di tonno: l’ultima delicatezza

- Gastronomia

Un blog di Hiroshi Umi sensei.

Nel mio paese lo chiamano mebachi, la tassonomia lo chiama Thunnus obesus e in queste acque iberiche è colloquialmente conosciuto come tonno obeso. Ne parliamo qui perché ha un altro soprannome che si addice perfettamente agli articoli del blog di questa settimana: grande occhio. Perché parleremo degli occhi, le penultime frattaglie che si trovano in queste latitudini gastroscopiche e che riguardano il nostro titano dei mari.

Tonni con occhi grandi, inespressivi, da bambola, che hanno contemplato molte acque, molte miglia nautiche di migrazione, e che sono assolutamente preparati alla visione subacquea, all’inseguimento delle orche e alla bassa luminosità delle acque. Non hanno bisogno di palpebre perché non hanno bisogno di lubrificare nulla (la cornea è in contatto permanente con l’acqua), e le lenti dei nostri amati pesci della famiglia famiglia Scombridae sono sferiche e un po’ appiattite, con grande potere di rifrazione.

Il Mr Magoo del mare

Non sono quello che chiamereste l’oftalmologo dei mille porti, ma grazie ad anni di esperienza passati ad osservare gli aspetti della biologia marina so che, anche se la luce che lo raggiunge aumenta, il tonno non può chiudere la pupilla, come succede ad un diaframma fotografico. Per evitare l’accecamento o la sovraesposizione, coni e bastoncelli dell’occhio sono molto versatili e modulano la loro forma.

Potremmo confondere facilmente il tonno rosso con un tonno a pinne blu di prima qualità. Soprattutto quando si tratta di tonni giovani, che hanno occhi grandi, sproporzionati rispetto al resto del corpo. È per questo che nella mia amata patria giapponese dipingono strisce bianche e nere sulle vasche di cultura affinché i tonni non sbattano o si feriscano contro le pareti (lo stesso stratagemma lo troviamo negli allevamenti di Fuentes; sono bianche e nere come la tuta della squadra di calcio di Cartagena). Forse, se mettessimo gli occhiali al tonno, sarebbe un grande lettore!

Occhi di tonno, finora considerati uno scarto

Non abbiamo mai guardato bene gli occhi del tonno. Non sono mai stati venduti facilmente in Giappone, e se oggi sono un prodotto ricercato è grazie alla richiesta precisa di qualche chef con il gusto delle sperimentazioni, apprendisti stregoni ai quali saremo sempre grati.

Mi ricordo che pescatori i marinai facevano una specie di shiokara, che è un piatto salato fermentato con la carne gelatinosa, che si trova proprio dietro il bulbo oculare. Lo shiokara è un piatto che utilizza vari pezzi di pesce e crostacei ed è caratterizzato da una pasta viscosa di un colore marroncino. Ma ribadisco, queste non erano parti messe sul commercio. Quello che abbiamo sempre mangiato è il bulbo oculare del dentice, ma in generale, storicamente gli occhi sono stati scartati. Nessuno li ha nemmeno considerati per i trapianti ai replicanti in Blade Runner. Nemmeno per ravvivare un brodo, perché, come le cistifellee, lo rendono amaro.

Ojos de atún rojo Fuentes

L’oggetto del desiderio degli chef innovativi

L’alta cucina riserva sempre belle sorprese. Diego Guerrero, il coraggioso alchimista del DsTAGE, si è avventurato nel campo del collagene di tonno e della crema di occhi. Li ha messi sotto vuoto e li ha infusi. Si sono sciolti come il gelato di un bambino in agosto. L’osso è stato lasciato solo, nudo, nucleare. Un tale substrato condensato è stato filtrato, mescolato ed emulsionato, in modo che il collagene e il grasso del globo siano valorizzati. Riducendo questa essenza, il risultato è una caramella mou geniale. Chapeau.

Ma non è solo il vittoriano dalla faccia da corsaro che ha osato guardare negli occhi i nostri missili d’argento pieni di oro rosso. Li sfida anche il grande Julián Mármol, timoniere di Yugo The Bunker, che abbiamo già visitato in questi percorsi digitali. Ed è successo anche al Miyama, uno stupendo ristorante giapponese che ha due sedi a Madrid e il cui fondamentalismo è fuori da ogni dubbio.

Vuoi altri indizi, consigli e suggerimenti sull’argomento? Dai un’occhiata a La Sopa Boba, a Alpedrete. Fernando Limón orchestra una cucina creativa con giochi portentosi. Oltre alla classica tartare, offre occhi di tonno affinché, come con un caleidoscopio, si possa contemplare ciò che succede nelle profondità dell’oceano…